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La Gran Corte Civile di Catanzaro (1818−1861) – I Primi Fogli di Udienza.

Sorti dall’esigenza di ottenere un documento ufficiale su cui apporre la “registrata” senza privare le parti in lite dell’originale della sentenza, circostanza che oltre a determinare l’inapprensibilità della stessa e di quanto in essa disposto, avrebbe potuto compromettere le possibilità di esecuzione della medesima, i “Primi Fogli” prendono l’avvio all’incirca dopo sette mesi di attività della Corte e da allora costituiranno una costante non più dismessa. Anche gli elementi fondamentali di tali atti rimarranno per grosse linee inalterati nel corso degli anni: indicazione del collegio giudicante e degli ausiliari, dei litiganti nelle loro qualità processuali, della domiciliazione, dei difensori, del dibattimento processuale, e del dispositivo contemplante accertamento, condanna e regime degli oneri di lite. Dal “Notamento delle deliberazioni fatte in questo anno 1818” (1) è possibile rilevare la registrazione della formazione del primo foglio come stabilito nella “udienza” (2) del 5 marzo 1818. Tale procedura, facente capo ad un’istruzione centralizzata dovrebbe assimilarsi, per contenuti ed allocazione temporale, a quella adottata nelle altre tre Gran Corti Civili nell’ottica di un’omologazione veicolata da ragioni fiscali, ma rispondente ad un più generale disegno di uniformazione.

La condensazione delle sentenze nelle dispositive non consente di ricavare dalle stesse una panoramica degli oggetti di diritto e del ragionamento giuridico posto a base della decisione. E’ tuttavia possibile inferire, dalla scarna sintesi che esse offrono, i fondamentali schematismi processuali che intervenivano nello svolgimento delle liti e la tipologia delle decisioni medesime. Agli elementi indefettibili dei primi fogli (3), essenziali all’individuazione delle parti e dei riferimenti processuali, faceva seguito il dispositivo in senso proprio. Tale pronuncia veniva formulata nel senso dell’accoglimento o del rigetto dell’appello (principale o incidentale), ma avevano accesso anche determinazioni in rito o interlocutorie, di carattere prevalentemente istruttorio. Fino all’entrata in vigore del Codice per lo Regno del 1819, si faceva ricorso alla procedura previdente, espressamente qualificata, negli stessi dispositivi, come provvisoria. Così, ad esempio, nella decisione del 13 marzo 1818, rubricata al numero 169 del ruolo (4), la formula di chiusura apposta pedissequamente alle statuizioni del collegio recita: “[…] il tutto in conformità del rito provvisoriamente in vigore. […]”. Tale riferimento rispondeva ad una precisa statuizione legislativa, l’art. 222 della legge 29 maggio 1817, chiara norma transitoria posta a presiedere il passaggio al Codice per lo Regno. I nuovi codici di procedura civile e penale venivano, peraltro, preannunziati già nell’art. 2155.

Nelle decisioni di accoglimento dell’appello vi è annullamento della sentenza di primo grado con indicazione dell’Autorità emanante, declaratoria del diritto dell’appellante, sovente in ragione espressa del titolo, regolamento delle spese, in prevalenza con condanna dell’appellato, da regolarsi con rinvio alle norme di legge. Paradigma eloquente è nel primo foglio dell’11 marzo 1818, recante la dispositiva di cui al n. 158 del ruolo, tra l’appellante Carmelo Ianioli, assistito dal patrocinatore Luigi Tropeani, e l’appellato Giuseppe Asinizi, patrocinato da Saverio Catanzaro: “La Gran Corte Civile facendo ragione all’appello prodotto da D. Carmelo Ianioli avverso la sentenza emessa dal Trib.le di Reggio nel dì 12 Dic.e del 1817, annulla la stessa sentenza; discarica esso Sig. Ianioli della dimanda di D. Giuseppe Asinizi e lo dichiara proprietario irrevocabile de’ due fondi denominati [Ligracà], descritti nell’istrumento de’ 15. Luglio del 1815_ Salvo al D. Sig. G. Asinizi di rispettarne la rata de’frutti dell’anno 1816 come, e quando per diritto gli può spettare.

Condanna l’appellato Sig. G. Asinizi alle spese dell’intiero giudizio da liquidarsi a norma della legge”. Non solo dal dispositivo stricto sensu, ma dall’intero corpo della sintesi non è dato estrarre la causa petendi ed individuare la fattispecie concreta dedotta in giudizio ed il punto di diritto su cui si controverte. E’ solo possibile ricavarne la materia: nel caso, il diritto di proprietà immobiliare con le relative attribuzioni. Come detto (6), l’assenza di una sia pur breve sintesi del fatto e dell’oggetto di diritto rende questi primi fogli inidonei sia per la repertorizzazione, sia per la statistica. Singolarmente, invece, queste attività venivano svolte ed erano all’attenzione dei contemporanei, tanto al livello centrale che locale, come è comprovato dalla presenza di statistiche e resoconti per gli oggetti di diritto redatte periodicamente dagli stessi organi giusdicenti (7), nonché di repertori giurisprudenziali di compilazione privata, ma rispondenti ad impulsi ministeriali e di fatto rivolti ed utilizzati per l’ambito ufficiale (8). Per questi, peraltro, si è segnalata la necessaria limitazione nell’estensione, proprio per l’assenza di strumenti “orizzontali” atti a fornire un supporto per la raccolta.

Tale schema e tali carenze delle dispositive non mutano a seconda che esse riguardino una pronuncia di rigetto o una mera determinazione istruttoria. Proprio in quest’ultimo caso, stante la non definitività della pronuncia, poteva aprirsi lo spazio per una illustrazione giuridico-processuale di merito. La circostanza per cui ciò non si verifica lascia comprendere che le dispositive, ancorché sottoscritte e corredate di tutti gli elementi formali appartenenti al singolo processo, non verranno mai rivestite di una valenza giurisprudenziale, restando poco più che una mera nota di registrazione fiscale.

Quanto alle sentenze di rigetto integrale dell’appello, il dispositivo prende le mosse dall’annullamento dell’appello. Qui è singolare l’uso della terminologia giuridica, oggi differente: rigetto ed annullamento avevano una valenza analoga, non venivano riferiti al concetto di validità del gravame, bensì entrambi al non accoglimento di merito. Il dispositivo, poi, non solo indica gli estremi della sentenza appellata con data ed autorità giudiziaria emanante, ma conferisce esecutività alla stessa e ne conferma le statuizioni. In ordine al regime delle spese, conferma la condanna al pagamento di quelle già liquidate in occasione del primo grado ed in prevalenza condanna alle ulteriori spese dell’appello, la cui liquidazione viene determinata al di fuori dell’atto, a norma della legge. Esemplificativo di questo genere di decisioni è il dispositivo della sentenza resa il 26 marzo 1818 tra Giuseppe Giannuzzi Savelli, appellante, patrocinato da Saverio Bagnati e Vincenzo Maria D’Aquino, appellato, patrocinato da Luigi Tropeani: “La Gran Corte Civile rigetta l’appellazione prodotta da D. Giuseppe Giannuzzi Savelli avverso la precedente decisione di congedo: annulla l’appello da esso prodotto avverso la sentenza del Tribunale Civile di Cosenza del dì 30 Luglio del 1817. ed ordina che la stessa sentenza si esegua.

Conferma contro esso appellante la condanna alla multa, ed alle spese, pronunciata colla precedente decisione di congedo, e lo condanna inoltre alle spese del presente giudizio di appellazione da liquidarsi a norma della legge” (9). Si noti come il verbo “rigettare” sia usato per la stessa fattispecie un rigo prima di quello “annullare”. Orbene, è plausibile che nel caso delle sentenze di accoglimento integrale dell’appello si parli di annullamento della sentenza gravata giacché esso sortisce lo scopo di rimuovere gli effetti prodotti dalla stessa. Ma mantenere un parallelismo terminologico per la sentenza di rigetto, ove l’atto da annullare diverrebbe non quello che l’appello è funzionalmente destinato a rimuovere, ossia la sentenza di primo grado, bensì l’atto di appello è giuridicamente incongruo, giacché esso non costituisce una statuizione autoritativa che fa legge tra le parti e deve essere quindi rimossa, ma un mero atto di parte, un’istanza rivolta alla corte superiore che non sviluppa un’autonoma efficacia regolamentare da rimuovere con la sanzione di nullità. [….] Quanto alle modalità di liquidazione delle spese va rilevato che questa veniva fatta a parte sia per motivi di speditezza sia per la necessaria interazione con un ulteriore atto di parte che era la nota specifica sulla quale si sviluppava l’articolato calcolo del liquidato.

La disciplina prevista nel Codice per lo Regno sarà eloquente. L’operato del cancelliere presiedeva alla procedura di liquidazione. Assolto l’onere di presentare la propria specifica e i documenti giustificativi dalla parte vittoriosa, un giudice a latere ne avrebbe curato la liquidazione articolo per articolo mediante notazione marginale e sottoscrizione unitamente al cancelliere (10). Tale liquidazione avrebbe goduto come la sentenza – costituendone in realtà un corollario – del carattere dell’esecutorietà e, al pari della stessa, sarebbe stata soggetta all’eventuale opposizione. Si trattava, in realtà, di uno sdoppiamento di un’unica fase, la decisione della causa, per relegare aspetti tecnici di dettaglio, eteronomamente integrati, ad un atto appendicolare, ma coeso con la sentenza vera e propria. La tecnica si avvicina a quella odierna della liquidazione come da separata ordinanza, parimenti esecutiva, che il giudice fa delle spese, ad esempio per una consulenza tecnica, onde dar corso ad un titolo autonomo, scaturente dalla sentenza medesima, ma fisicamente separato dalla stessa (11). Le parti – come detto – avevano facoltà di proporre opposizione avverso l’intervenuta liquidazione, sempre nelle richiamate forme del codice di rito, innanzi alla stessa autorità giudiziaria che aveva emesso la sentenza cui andava riferita la successiva liquidazione: i termini erano estremamente ristretti – tre giorni dalla notifica del provvedimento di liquidazione – ed il procedimento aveva carattere sommario; era escluso l’appello, salvo che esso cadesse su aspetti di merito (12).


1 In AsCz Lamezia Terme, Fondo GCCC. Ivi si rinvengono anche altri Notamenti delle deliberazioni, sempre su base annuale. Così per gli anni 1819-22.
2 E’ questa la terminologia utilizzata nel Notamento: nella colonna a sinistra vengono indicati gli oggetti per cui si è deliberato (“nomi”, stante un prevalente, ma non esclusivo, riferimento soggettivo), mentre nella colonna a destra è riportata la data della deliberazione. In capo a quest’ultima colonna trovasi testualmente indicato: “Udienza in cui si è fatta la deliberazione”. E’ chiaro, quindi, che questa dizione è utilizzata in senso improprio e generale, quanto meno non distinguendo tra udienze in senso proprio e camere di consiglio. Riguardo al profilo sostanziale non è riscontrabile un discrimine tra attività giusdicente in senso proprio ed attività amministrativo-organizzativa e ciò è reso ancor più evidente dalla circostanza che, oltre alla formazione del primo foglio, nelle “deliberazioni di udienza” si annoverano le istanze del procuratore regio Laudari e del presidente De Blasio per congedo (udd. 13 marzo e 3 aprile), il giuramento di Pietro Pugliese quale giudice della Gran Corte (28 marzo 1818), la nomina di Ignazio Valente a portiere (ud. 5 ottobre 1818) etc. Mentre può dirsi, quindi, che l’espressione “deliberazione” vale a coprire ogni determinazione volontaristica assunta in forma collegiale per gli oggetti più vari, ciò che resta esclusivamente riservato a qualificare l’esito della controversia giudiziale è il termine “sentenza”.
4 In AsCz Lamezia Terme, Fondo GCCC.
5 Il citato art. 222 recita: “Fino a che non saranno pubblicati i nuovi codici, le autorità giudiziarie faranno osservare, ed osserveranno le leggi, che sono provvisoriamente in vigore”. Il precedente art. 215 prevede: “Un codice di procedura civile ed un altro di procedura criminale determineranno le forme, e l’ordine da osservarsi ne’ giudizij avanti i giudici, i tribunali, e le Gran Corti.”.
9 In AsCz Lamezia Terme, Fondo GCCC.
10 Nel fondo richiamato alla nota precedente si rinvengono diverse specifiche, le quali in genere risultavano affoliate agli atti conclusionali di parte. E’, ad es., il caso della causa tra D. Dorabella Nicoletta, autorizzata da suo marito, e D. Irene Nicoletta, appellanti patrocinate da D. Luigi Tropeani contro Francesco Antonio Arcà Massajo di Campo, appellato, patrocinato da D. Saverio Bagnati non comparente. La causa riguarda la riconsegna di un fondo rustico con i relativi frutti a far data dal 1796, anno in cui esso fu oggetto di una permuta effettuata dal tutore delle appellanti. Il patrocinatore Tropeani sviluppa con memoria le proprie difese conclusive del 3 aprile 1818 e vi acclude la nota specifica delle spese. Essa in epigrafe riporta i nominativi delle parti, senza altro ulteriore dato identificativo del procedimento, ma puntualizza che trattasi delle spese “tanto in prima istanza che in appello”. Seguono l’elenco delle voci di spese vive e diritti, suddistinte in 19 articoli separati – relativi ciascuno alle singole attività processuali espletate – ed assommanti ad un totale di 37 ducati e 42 grani, il luogo, la data e la firma, “Fatta in Catanzaro lì. 9 Agosto 1818. [F.to] Luigi Tropeani Patron.re”. In calce leggesi la vidimazione del cancelliere: “Liquidate le sud.e spese in ducati trentasette e grane quarantadue come sopra [F.to] Luigi Scalfani Canc.re”.
11 Codice per lo Regno, delle Due Sicile. – Parte III – Leggi della procedura ne’ giudizj civili, VII Ed – Stamperia Reale, Napoli 1836, Libro VI, Titolo V, artt. 626-31. In generale, per la ripetizione giudiziale delle spese di lite, v. l’art. 634.
12 Ibidem, art. 631.